Si svegliò di soprassalto, sudato, ansimante.
Gli occhi impiegarono diversi istanti ad abituarsi all'oscurità della misera stanzetta d'albergo che aveva eletto a propria abitazione da due mesi a quella parte; quando il suo braccio sinistro ritornò alla forma antropomorfa originale abbandonando quella della canna di un grosso fucile mitragliatore, percepì semplicemente il cambiamento di peso e il restringersi delle sue ossa, ma non riuscì a vedere nulla.
Si abbandonò sul letto, sfinito.
Ancora un'altra volta lo stesso sogno, lo stesso, terribile incubo rigonfio di morte, distruzione e nero vuoto.
Ma chi voleva prendere in giro? Non era affatto un sogno. Nel suo caso, non era mai "soltanto un sogno".
Lentamente si mise seduto sul letto, quindi si alzò; i suoi movimenti erano rigidi e macchinosi, retaggio più dell'età avanzata che del senso di stanchezza.
Nel buio lanciò una mano verso il piccolo comodino di legno e tastò cieco fino ad afferrare il piccolo pezzetto di carbone: era lì, freddo, secco, quasi ad aspettarlo.
Si guardò attorno nell'oscurità, cercando di ricordare una porzione delle pareti della stanza ancora priva di qualsiasi sua espressione artistica; non ne era sicuro, quella storia andava avanti davvero da troppe notti.
Sfiorò i muri per qualche istante, salì con i piedi sul letto per raggiungere un piccolo quadratino di intonaco ancora intonso, quindi prese a raschiare con forza con il pezzetto di carbone.
Scrisse "Noi non siamo pronti", con la sua calligrafia (già caotica di suo) resa ancora più incomprensibile dalla situazione intera.
Diciasette lettere, quattro parole. Le stesse diciassette lettere e quattro parole con le quali aveva occupato tutta la camera.
"Non non siamo pronti"
Ma chi voleva prendere in giro? Non era affatto un sogno. Nel suo caso, non era mai "soltanto un sogno".
Lentamente si mise seduto sul letto, quindi si alzò; i suoi movimenti erano rigidi e macchinosi, retaggio più dell'età avanzata che del senso di stanchezza.
Nel buio lanciò una mano verso il piccolo comodino di legno e tastò cieco fino ad afferrare il piccolo pezzetto di carbone: era lì, freddo, secco, quasi ad aspettarlo.
Si guardò attorno nell'oscurità, cercando di ricordare una porzione delle pareti della stanza ancora priva di qualsiasi sua espressione artistica; non ne era sicuro, quella storia andava avanti davvero da troppe notti.
Sfiorò i muri per qualche istante, salì con i piedi sul letto per raggiungere un piccolo quadratino di intonaco ancora intonso, quindi prese a raschiare con forza con il pezzetto di carbone.
Scrisse "Noi non siamo pronti", con la sua calligrafia (già caotica di suo) resa ancora più incomprensibile dalla situazione intera.
Diciasette lettere, quattro parole. Le stesse diciassette lettere e quattro parole con le quali aveva occupato tutta la camera.
"Non non siamo pronti"
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